Alexssandra Minissale | Attualità EAF

In questi giorni abbiamo tutti sentito parlare del piccolo Enea, trovato il giorno di Pasqua nella Culla della Vita presso la clinica Mangiagalli di Milano. L’ospedale ha reso, fin da subito, pubblica la notizia, divulgandola in maniera illecita, rispettando l’anonimato della madre ma non quello della sua scelta: diritto che invece avrebbe dovuto avere. È stato rivelato consapevolmente il nome del bambino così come è stato rivelato il contenuto della lettera che la madre gli ha lasciato accanto. Potevamo già immaginare le conseguenze di questa divulgazione? Sì. Imbellita dalla classica narrazione nazionale a cui purtroppo siamo abituati e di cui sicuramente non abbiamo bisogno.
Basta fare una piccola ricerca su Google per leggere migliaia di articoli che parlano di abbandono:
Enea, il neonato abbandonato; Enea, nato solo; Enea, la storia del bambino abbandonato; madre abbandona il figlio il giorno di Pasqua.
Perché non chiamiamo mai le cose con il suo vero nome?
Enea è stato abbandonato? No. Enea è nato solo? No. Enea non è nato solo e non è stato abbandonato. Qualsiasi siano i nostri ideali di vita dobbiamo considerare ciò che ci succede intorno con tutta la verità e l’oggettività possibile. Il punto non è giudicare la scelta di questa donna come giusta o sbagliata, il punto non è capire perché abbia preferito portare avanti nonostante tutto la sua gravidanza. Possiamo capirla o meno, ma non è più Lei il fulcro di questa narrazione. Enea c’è, esiste, e che vi piaccia o no è stato amato dalla sua madre biologica. Amato così tanto da separarsi da lui, anche se con sofferenza, per offrirgli il futuro migliore che merita. Non paragoniamo la scelta di questa donna a quella di chi lascia il proprio neonato per strada o in un cassonetto, facendogli rischiare la vita. Enea è stato partorito in ospedale, Enea sta bene, Enea è stato fatto trovare in un posto sicuro, Enea è nelle mani dei medici. Enea è stato affidato, non abbandonato. Pronto ad attenderlo una famiglia che gli darà amore, protezione e un futuro roseo e sereno: ciò che la madre biologica desidera per lui. Questo è l’importante, nient’altro.
Smettiamola di sprecare continuamente il nostro fiato per giudicare e condannare le scelte delle donne. Si condanna l’aborto. Quando si decide di non abortire per poi dare il neonato in affido si condanna anche questo. Il bambino lo devi tenere a qualsiasi condizione, anche se sei sola, anche se non hai un lavoro e non puoi mantenerlo, anche se non stai bene. Non importa che futuro possa avere questo bambino con te, non importa se sarà infelice, tu lo devi tenere. E il padre invece? La sua scelta può essere accettata, quella di una madre no. Nessun appello a lui e nessuna condanna. Noi donne siamo delle colpe vaganti.
Il DPR 396/2000, art.30 comma 2, consente alla madre biologica di non riconoscere il bambino e di lasciarlo in ospedale affinché sia assicurata l’assistenza e poi l’affido ad una famiglia considerata idonea. Le Culle per la Vita sono circa 60 in tutta Italia e hanno come scopo quello di salvaguardare la vita del neonato, presente e futura. Ad una eventuale apertura della culla termica scatta, dopo pochi minuti, l’allarme in terapia intensiva neonatale e il bambino avrà tutta l’assistenza che si merita. Non ci rendiamo conto che forse tutto ciò che sta succedendo non aiuterà le prossime donne che pensavano di valutare questa scelta? Non le stiamo tutelando abbastanza e, di conseguenza, non stiamo tutelando nemmeno la vita, la salute e il futuro di questi figli. Si pensi, invece, ad aumentare il numero delle Culle per la Vita in tutta Italia e oltre, è una delle scelte più sagge che possiamo fare. Al futuro di questi bambini? Ci sono famiglie pronte ad amarli pazzamente e a renderli felici. Dire che un bambino “si merita la mamma vera e non una che poi dovrà occuparsene, ma non è la mamma vera”, così come è stato già detto, è la cosa più abominevole mai sentita.
Buona vita piccolo Enea!
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